Il Consiglio di Stato: «Le benedizioni religiose a scuola sono legittime»
I giudici: «Il rito, fuori dall’orario scolastico e facoltativo» non incide sulla didattica. Ribaltata decisione del Tar. La polemica un anno fa, finita anche sul New York Times
Le benedizioni a scuola, «fuori dalle lezioni e facoltative», sono legittime. Lo stabilisce il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso del ministero dell’Istruzione e ribaltando la decisione del Tar dell’Emilia-Romagna che aveva annullato la delibera con cui un consiglio di istituto di Bologna le aveva autorizzate, nel 2015. Per i giudici il rito non può «in alcun modo incidere sullo svolgimento della didattica e della vita scolastica in generale» e questo «non diversamente» da altre attività «parascolastiche».
Il caso
Nelle scuole
Secondo i giudici il rito, per chi intende praticarlo, «ha senso in quanto celebrato in un luogo determinato, mentre non avrebbe senso (o, comunque, il medesimo senso) se celebrato altrove; e ciò spiega il motivo per cui possa chiedersi che esso si svolga nelle scuole, alla presenza di chi vi acconsente e fuori dall’orario scolastico, senza che ciò possa minimamente ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che, pur appartenente alla medesima comunità, non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento, non possa in alcun senso sentirsi leso da esso». Inoltre «non può logicamente attribuirsi al rito delle benedizioni pasquali», con i limiti stabiliti in questo caso, «un trattamento deteriore rispetto ad altre diverse attività “parascolastiche” non aventi alcun nesso con la religione». «C’è da chiedersi - prosegue la sentenza - come sia possibile che un (minimo) impiego di tempo sottratto alle ordinarie e le attività scolastiche, sia del tutto legittimo o tollerabile se rivolto a consentire la partecipazione degli studenti» ad attività culturali, sportive o ricreative «mentre si trasformi, invece, in un non consentito dispendio di tempo se relativo ad un evento di natura religiosa, oltretutto rigorosamente al di fuori dell’orario scolastico».
Non discriminazione
I giudici aggiungono quindi che «per un elementare principio di non discriminazione, non può attribuirsi alla natura religiosa di un’attività, una valenza negativa tale da renderla vietata o intollerabile unicamente perché espressione di una fede religiosa, mentre, se non avesse tale carattere, sarebbe ritenuta ammissibile e legittima». È la stessa Costituzione, nell’articolo 20, si ricorda, a porre «un divieto di trattamento deteriore, sotto ogni aspetto, delle manifestazioni religiose in quanto tali».